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Brasile e Usa ai ferri corti per la politica monetaria

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 Il Brasile ha minacciato di introdurre nuove misure repressive che andranno a coinvolgere il capitale straniero speculativo: si tratta di una vera e propria “guerra monetaria”, come l’ha definita il ministro delle Finanze, Guido Mantega, il quale ha dato la colpa alla stampa di nuova valuta da parte delle banche centrali occidentali. Lo stesso Mantega non è disposto a permettere un rafforzamento del real, visto che si tratterebbe del risultato di uno stimolo monetario fin troppo aggressivo da parte degli Stati Uniti e delle altre nazioni sviluppate.

Se dovesse essere necessario, inoltre, verrà sfruttata l’opzione delle tasse sul capitale di breve termine. Queste dichiarazioni fanno capire chiaramente a che punto siano giunte le tensioni tra il paese sudamericano e il governo di Washington in merito a una politica valutaria permissiva. Sono almeno tre anni che il Brasile ha introdotto diverse misure volte a incrementare l’afflusso di dollari degli investitori stranieri, ma proprio qualche mese fa è stato ridotto il loro funzionamento, visto che il real ha cominciato a indebolirsi. La tassazione di alcune categorie di capitale ha scioccato in passato gli investitori, ma in quel caso la mossa si rese necessaria perché parecchio di quel denaro stava danneggiando l’economia carioca.

In aggiunta, non si può dimenticare l’aumento dei dazi da parte del governo di Brasilia su diversi beni, in modo da favorire l’industria locale con un real decisamente più forte. Due giorni fa la valuta brasiliana ha raggiunto quota 2,0245 nei confronti del dollaro e s è trattato del quarto rialzo consecutivo; la banca centrale continuerà comunque a intervenire nel caso in cui ci si dovesse avvicinare ai due reais per ottenere un dollaro americano. Mantega ha accusato la Federal Reserve di aver alimentato la guerra monetaria a cui si sta facendo riferimento, pertanto non ci si dovrà stupire se gli altri paesi cominceranno a difendersi nel modo che ritengono più opportuno.