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La Super-Fed si allunga e l’Europa resta a guardare

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 D’ora in poi chiamatela Super-Fed. La riforma del sistema finanziario voluta dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha l’intenzione di dare un giro di vite memorabile alla sregolatezza dei mercati. Una ristrutturazione storica, come “non si vedeva dalla Grande depressione”. L’obiettivo primario è aumentare il controllo sulle istituzioni finanziarie dalle banche fino ai derivati, più difficili da acquistare se il piano passerà l’esame del Congresso così com’è. La Fed farà da sceriffo su tutte quelle operazioni e modus operandi identificati come fattori scatenanti della crisi economica. L’istituzione di Bernanke sarà affiancata da un “Consiglio di Sovrintendenza”, utile a regolare i rapporti tra vigilante e mercati. Aggiunta la “Resolution Authority”, un nuovo organismo con funzioni “anti-crac” per gli attori che operano in mercati diversi ma connessi. Infine gli advisor degli hedge fund che operano a Wall Street dovranno iscriversi al registro Sec (la Consob americana).
Se da Washington i segnali di cambiamento arrivano eccome, dall’Europa l’elettroencefalogramma resta piatto. Se è vero che la Fed ha recuperato (e superato) parte della dimensione di vigilanza che già apparteneva alla Bce, è anche vero che per Francoforte non si prevedono scosse di rilievo. La spaccatura dei governi europei su un sistema Bce più incisivo congela ogni anelito verso una riforma. Pesa il “No” di Mr. Gordon Brown alla vigilanza sulla City.
Intanto, come previsto, i paesi Bric si organizzano per smarcarsi dal dollaro (ieri in calo contro euro, complici i dati sull’inflazione sotto le aspettative: 0,1%; 0,3% prev.), il velato intervento a favore dei paesi emergenti sulla scena internazionale, lascia intendere – pur senza riferimenti espliciti – che la divisa americana si conferma un compagno scomodo.

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