Home Economia Le imprese di famiglia e l’urgenza del passaggio generazionale

Le imprese di famiglia e l’urgenza del passaggio generazionale

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Tra la scoperta, lo studio e l’assunzione della responsabilità gestionale, ci vogliono circa 30 anni per formare la generazione alla quale passare il testimone. Perché ne parliamo? Perché l’85% delle aziende italiane è a gestione familiare ma solo un terzo riesce a sopravvivere con la generazione immediatamente successiva e solo un decimo con quella ancora dopo. Come evitare dunque di perdere queste imprese, circa un quarto delle quali guidate ancora dalla prima e dunque da persone che hanno più di 70 anni? Abbiamo sentito al riguardo l’avvocato Paolo Borelli, fondatore dello Studio legale Borrellipartner de IlSole24ore e scelto da Forbes tra i migliori professional 2021 e 2022. 

L’importanza del passaggio e gli errori da non fare

Dicevamo in apertura: il tessuto imprenditoriale italiano è rappresentato per l’85% proprio da queste aziende, caratteristica che colloca l’Italia al settimo posto della classifica delle prime 500 imprese familiari al mondo. Parliamo della quasi totalità delle aziende nostrane, il 65% delle quali con un fatturato oltre i 20 milioni di euro. Il che, tra l’attività principale e l’indotto, significa tenuta economica, occupazionale e sociale del sistema-Paese. Soprattutto in un contesto di non poche difficoltà strutturali – dalla piramide delle età e l’emigrazione, che interessa soprattutto gli under 34, ai divari culturali generazionali. 

Purtroppo, soltanto un’impresa familiare su dieci ha già un piano di transizione e soltanto due su dieci stanno considerando di preparane uno – e, questo, nonostante il 62% dei leader in carica desideri che l’azienda rimanga di proprietà della famiglia. Un approccio ancora non consapevole dell’urgenza e che, pertanto, incappa nel frattempo in diversi errori di valutazione. Come ci spiega l’avvocato Borelli:

  • considerare la successione come un evento (singolo e traumatico, come nel caso del decesso improvviso del Capo famiglia e azienda) e non come un processo, da avviare per tempo;
  • mischiare i ruoli di proprietà, governance e management, andando a deliberare in base al “patrimonio emotivo” e non agli elementi economico-finanziari oggettivi;
  • inserire nei Consigli di Amministrazione soltanto membri della famiglia, confondendo così l’appartenenza con l’effettiva competenza;
  • limitare l’innovazione della generazione successiva, spesso invece più “connessa” ai mutamenti in corso.

Errori in buonafede ma che mettono a rischio la continuità dell’impresa, chiamata continuamente a interpretare al meglio i tempi e le circostanze. 

Gestire la transizione

Come confermato dall’esperienza dello Studio Borelli, dall’ultimo Osservatorio AUB e da un recente studio Deloitte, condotto quest’anno su 100 imprese familiari italiane, si tratta di rimodulare la struttura di governance. A cominciare dall’operatività, assente in un’azienda su due, e dalla composizione del Consiglio di Amministrazione – in due imprese su tre, formato esclusivamente dai membri della famiglia proprietaria. Laddove, invece, le migliori performance 2022 si sono registrate tra le imprese che hanno ridotto questa presenza e separato i tavoli familiari da quelli gestionali, inserendo nei ruoli decisionali professionisti “esterni” selezionati in base a capacità e risultati.

In quanto alla preparazione del futuro aziendale, anche per non rimanere “vittime” della gestione emergenziale in caso di eventi traumatici, ecco alcuni dei consigli pratici dello Studio legale Borrelli:

  • predisporre un piano a medio-lungo termine, che includa anche le cosiddette “situazioni di crisi” (come, per esempio, il decesso improvviso del leader o i disaccordi interni generanti contenziosi);
  • farlo affidandosi a un solo professionista esterno, in grado di acquisire una visione completa e oggettiva delle esigenze familiari e aziendali;
  • valutare la possibilità di frazionare il patrimonio tra i membri della famiglia, in modo da ridurre il rischio in caso di passaggio traumatico improvviso;
  • lasciare “libera” una parte del patrimonio, anche per la liquidazione di soci non interessati o con performance non sufficienti;
  • infine, considerata la durata – anche di anni – del ricambio generazionale, formulare un piano modulabile (che possa, cioè, adattarsi alle diverse fasi e agli eventuali imprevisti).

Parliamo di un passaggio complesso. Ma che, come l’avvocato Borrelli tiene a precisare, “non è un obbligo: è un’opportunità”. Se pensiamo a quell’85%, strategica. Adesso.