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Due vite per il dollaro?

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 Agli americani è sempre piaciuto fare i gradassi. L’hanno fatto nel 1944, quando hanno respinto la proposta dell’economista John Maynard Keynes di creare un’unica moneta internazionale che tagliasse il cordone ombelicale tra Stati uniti e “resto del mondo”. E lo fanno oggi, quando non ascoltano i paesi del Bric che chiedono un sistema più equilibrato.

Al governo ovviamente non dispiaceva avere la valuta più diffusa al mondo, tant’è che questo consentiva di “accumulare nella più tale impunità colossali deficit della bilancia commerciale e disavanzi delle partite correnti, cosa che non può fare un paese piccolo come l’Islanda o la Corea del Sud”, scrive su Internazionale il professore di Yale, Paul Kennedy.

Tutto è rimasto come tale. Ma il dollaro ha già vissuto due volte: una volta come paese creditore, dal 1920 al ’60, una seconda come valuta del debito, dai ’70 a oggi (“l’impero del debito”).

Secondo Antonio Mosconi, professore del Cesi di Torino, questa crisi è dunque “l’ultima convulsione del ruolo internazionale del dollaro”. In futuro gli abitanti della terra non staranno più a guardare cosa cucinano per loro nella fornace della Federal reserve perché “a un certo punto ci sarà la resa dei conti”.

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