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Lettonia, Riga sull’orlo dell’abisso

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 Quello che sta cercando di fare Riga non ha precedenti nella storia dell’economia”. A parlare è Roy MacFarquahar, analista di Goldman Sachs, e si riferisce all’eccezionale operazione che sta attuando il governo lettone. Il Governo di Dombrowskis in tempi di crisi ha deciso di non svalutare il lat, la moneta nazionale. Una decisione politicamente molto dolorosa e dal risultato incerto. In tempi difficili ogni paese tende a svalutare la propria moneta per scaricare i costi sui creditori stranieri, rilanciando le esportazioni, Riga però ha deciso di tenere duro e, dopo aver ricevuto pressioni dai partner europei, ha convinto Ue e Fondo monetario a mantenere il lat legato alla moneta unica dei 27.
Certo è che la situazione lettone non è mai stata facile. Il paese è rimasto incastrato in un cliché molto comune tra i paesi dell’europa centro-orientale: il credito facile. Così facendo la Repubblica baltica si è avvicinata alla possibilità di entrare nell’Unione europea ma è andata incontro a un terremoto finanziario che l’ha costretta a chiedere al Fondo monetario internazionale e Unione europea 7,5 miliardi di euro in prestito. La contropartita richiesta è il risanamento delle finanze pubbliche (deficit entro 5%), un impegno che Riga arriverà non riuscirà ad onorare in tempo, e anzi non è detto che centri l’obiettivo: il deficit previsto è al 12% mentre il Pil è attualmente in calo del 18. Come se non bastasse, la Banca europea ha imposto alla Lettonia di non usare strumenti finanziari per cavarsela. Il governo ha quaindi dovuto volgere la mannaia dei tagli verso lo spazio pubblico (sanità e istruzione), dato il margine di manovra ristretto.
Scontata l’ondata di malcontento tra la popolazione che solo una settimana fa ha spinto 5mila persone a scendere in piazza. Il 17 giugno il ministro della Sanità, Ivars eglistis, ha rassegnato le dimissioni dopo essersi rifiutato di siglare nuovi tagli al suo dicastero. Se la situazione non cambia è difficile che Dombrowskis riesca a mantenere “pace e coesione sociale” come nei suoi programmi, lo scenario più probabile è quello di un autunno di rivolte, infiammato da 145mila persone senza impiego.

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