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Crisi diventa recessione

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 Il crollo della spesa delle famiglie, delle esportazioni e della produzione ha prosciugato le vene dell’economia della zona euro negli ultimi mesi del 2011. Questo il qusdro delineato dall’UE, che ben illustra la portata di una crisi destinata, almeno così sembra, a trasformarsi in una vera e propria recessione.

Si tratterebbe della seconda contrazione della zona euro in soli tre anni, mentre la crisi del debito continua a flagellare una regione che genera circa il 16 per cento della produzione economica mondiale.

Molti economisti, fiduciosi del fatto che i leader della zona euro saranno in grado di giungere ad un accordo circa il firewall finanziario necessaio a salvare gli stati indebitati, si aspettano un miglioramento nella seconda metà del 2012.

Ma questo è di poco conforto per le famiglie di Eurolandia, che hanno ridotto i consumi dello 0,4 per cento nei mesi conclusivi del 2011- e questo nonostante il periodo natalizio – tra l’aumento della disoccupazione, e le severe misure di austerità imposte dai governi.

Molte nazioni della zona euro, tra cui il Belgio e la Spagna, subiscono pesanti pressioni da parte della Commissione europea, che chiede loro di soddisfare i rigorosi obiettivi di bilancio (nonostante entrambe le economie siano in contrazione).

Il conflitto tra crescita e austerità, era già evidente nel quarto trimestre dello scorso anno, quando la spesa pubblica della zona euro crollava dello 0.2 per cento, l’attività industriale evidenziava una contrazione del 2 per cento mentre le importazioni si riducevano dell’1,2 per cento. I livelli sono equiparabili (se non  addirittura peggiori in alcuni casi), a quelli registrati durante la crisi finanziaria del 2008/2009.

Quest’anno si assisterà alla replica della più grande crisi economica dal 1930?Forse no. In effetti vi sono alcuni timidi segnali di stabilizzazione. L’offerta della Banca centrale europea (BCE), pari a un trilione di euro, con cui sono stati concessi prestiti a medio termine alle banche,  e il patto di bilancio dell’UE, hanno portato i rendimenti sui titoli italiani e spagnoli a livelli gestibili.

Il presidente della Bce Mario Draghi dovrebbe mantenere invariati i tassi di interesse  (l’annuncio è atteso nel pomeriggio di oggi, Giovedì 8 marzo), pobabilmente sulla base del fatto che la debolezza dell’economia controbilancia le preoccupazioni circa l’impennata dei prezzi del petrolio e l’inflazione.

Per Draghi l’economia rimane fragile. Tale condizione appare ancora più evidente se si considerano i destini contrastanti dei paesi della zona euro, soprattutto quelli della Grecia, colpita dal debito e costantemente a rischio default e della Germania, locomotiva della regione. Un gap che i leader UE non sembrano in grado di risolvere a breve termine.

Il divario crescente tra un Nord prospero e un Sud sempre più povero, è parso indubbio nel corso dell’ultimo trimestre del 2011, quando in Italia, la terza economia della zona euro si è registrato un calo del PIL dello 0,7% (nel terzo aveva segnato un ribasso dello 0,2%) mentre in Francia il Prodotto Interno Lordo cresceva dello 0,2 per cento.

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