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Un novembre pessimo per il fiorino ungherese

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 Il mese di novembre non si sta rivelando molto positivo per il fiorino ungherese: la valuta magiara si è infatti deprezzata parecchio nei ventiquattro giorni in questione, in particolare dopo che l’agenzia americana Standard & Poor’s ha provveduto a declassare il rating di Budapest di un livello, più precisamente da BB+ a BB (l’affidabilità degli investimenti rimane sempre “sufficiente”, ma ci si avvicina pericolosamente alla piena zona a rischio). In aggiunta, l’outlook economico del paese è negativo e potrebbe deteriorarsi ancora di più. Esattamente due settimane fa, comunque, il fiorino ha chiuso in positivo la settimana, segno che qualche spunto improntato all’ottimismo c’è ancora.

Entrando maggiormente nel dettaglio delle ultime quotazioni, la valuta del paese dell’Ue che risulta essere il più indebitato tra i membri dell’Europa orientale, ha perso un punto percentuale, giungendo così a quota 282,30 nei confronti dell’euro. La Borsa di Budapest ha fatto registrare il crollo giornaliero più consistente dallo scorso 29 ottobre. Nel frattempo, i titoli obbligazionari governativi a dieci anni sono cresciuti nel rendimento di appena lo 0,01%, rimanendo a ridosso dei sette punti percentuali. C’è però da sottolineare che anche ottobre non ha riservato molti spunti positivi, dato che a fine mese si è chiusa una settimana negativa per il fiorino ungherese.

Il rating ungherese è ora simile a quello del Portogallo, della Macedonia e della Turchia, ma la motivazione è presto detta: le politiche attuate dal premier Viktor Orban sono considerate poco ortodosse e in grado di erodere le prospettive di crescita di medio termine della nazione. Diversi analisti prevedono altri peggioramenti, quindi non si può nemmeno fare troppo affidamento sul fiorino. Il deficit fiscale di aggira attorno al 3% del prodotto interno lordo, mentre il debito pubblico è destinato a calare fino al 73% dell’output totale. Intanto, i Credit Default Swap sono scesi di quattro punti base, con il livello che è ancora il più alto tra i diciassette mercati emergenti europei.