Home Economia Visa citata in giudizio in Australia per la Dynamic Currency Conversion

Visa citata in giudizio in Australia per la Dynamic Currency Conversion

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 L’Australian Competition and Consumer Commission ha citato giudizialmente il colosso delle carte di credito Visa: l’accusa è quella di aver abusato del potere di mercato a disposizione impedendo ai clienti di utilizzare la valuta che più preferivano al momento dei loro acquisti. La limitazione delle scelte è dunque alla base di questa diatriba, visto che è stato impossibile sfruttare i servizi relativi alla cosiddetta dynamic currency conversion nei negozi della nazione oceaniana. In aggiunta, Visa è accusata anche di aver proibito altre operazioni, vale a dire quelle relative alle macchinette automatiche.

Secondo la Accc, il gruppo americano avrebbe interrotto in maniera volontaria la crescita e la diffusione del sistema di conversione valutario citato in precedenza, limitando ogni decisione da parte dei consumatori. Visa guadagnerebbe di meno quando gli automobilisti scelgono di utilizzare la Dcc rispetto ai servizi propri, dunque ci sarà anche questa motivazione nella causa. Stando a quanto riferito dalla commissione australiana, chi viaggia e si reca nel paese in questione utilizzando una carta di credito Visa non sarebbe in grado di comprendere qual è la convenienza tra le varie valute. In particolare, la piattaforma statunitense avrebbe impedito di conoscere il costo delle transazioni nella divisa a cui più sono abituati.

Il gigante californiano ha assicurato che si difenderà nella maniera più vigorosa possibile contro tutte queste accuse, dato che le regole stabilite internamente non violerebbero in alcun modo le leggi concorrenziali che sono in vigore in Australia. L’udienza presso la Corte di Sydney avrà luogo il prossimo 14 marzo, con le prime audizioni. Giusto un anno fa, proprio Visa è stata protagonista del pagamenti di ben sei miliardi di dollari negli Stati Uniti, insieme alla concorrente MasterCard, a causa di una disputa durata sette anni con i venditori al dettaglio americani. L’accusa in quel caso fu quella di aver fissato delle tariffe da pagare ogni volta che i clienti utilizzavano le carte di credito o di debito per i loro acquisti.