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Cina: economia in crisi?

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 Pechino è preoccupata per i recenti dati statistici che confermano un rallentamento dell’economia cinese. La Banca centrale ha già diminuito per due volte il tasso di interesse e sono previste altre misure.
L’annuncio di un sesto trimestre consecutivo di rallentamento della crescita economica cinese, ai minimi da tre anni, sembra destare non pochi timori, anche se alcuni segnali suggeriscono che le misure adottate negli ultimi mesi per cercare di stabilizzare la situazione cominciano a dare frutti.In termini annuali, il prodotto interno lordo (PIL) è aumentato del 7,6% nel secondo trimestre, dopo l’8,1% nei primi tre mesi dell’anno, un aumento leggermente superiore all’obiettivo del 7,5% fissato dal governo cinese per l’intero anno. La situazione dell’economia cinese è sotto i riflettori internazionali, dal momento chelo stato di salute e dell’attività della seconda potenza mondiale, esercita una notevole influenza su quella di tutto il pianeta, soprattutto in un contesto di crisi crescente in Europa, con allarmanti segnali di recessione, e in attesa di un vero e proprio rilancio dell’economia negli Stati Uniti.

La risposta di Pechino ai segni di rallentamento è ora riassunta in una serie di aggiustamenti alla politica monetaria e fiscale apportati nel corso degli ultimi otto mesi. La banca centrale, in particolare, ha abbassato i tassi di interesse due volte in meno di un mese.

Ma queste azioni non hanno sinora consentito una ripresa tangibile e l’economia cinese potrebbe mostrare nel corso di quest’anno la sua più lenta crescita dal 1999. La crescita del PIL cinese nel secondo trimestre, dato che sarà reso noto in settimana, dovrebbe ancora riflettere la fase di stallo in cui si trova il paese.

Il ritmo del motore cinese sta rallentando pericolosamente ed è necessario evitare a tutti i costi un “atterraggio duro”. La questione è, ovviamente, se questo rallentamento aumenterà. In questo caso, si assisterebbe ad un notevole indebolimento della situazione economica e sociale del paese. La causa dei mali di Pechino non sembra risiedere nel minor appetito dei mercati occidentali – Europa e Stati Uniti in primis – che si traduce in una contrazione delle esportazioni, quanto piuttosto alla debolezza degli investimenti locali.

Nel 2011, gli investimenti in capitale fisso sono aumentati del 23,8%, rappresentando più della metà (54,2%) del PIL. Tuttavia, durante i primi cinque mesi del 2012, gli investimenti in infrastrutture, che rappresentano il 20% del totale, sono cresciuti solo del 4,6%, mentre quelli nel settore industriale e immobiliare hanno continuato a salire, del 24,5% e 23,15% rispettivamente. A questo propostio, alcuni mostrano un certo scetticismo. Nel mese di maggio, il governo ha infatti approvato un investimento di Baosteel (il maggiore gruppo siderurgico cinese ed uno dei maggiori produttori mondiali di acciaio),di 11 miliardi di dollari per costruire un’acciaieria, un settore già in sovraccapacità,  a Zhanjiang, regione sud-occidentale del Guangdong, la cui capacità produttiva annua è di 10 milioni di tonnellate.

Per stimolare l’attività, la banca centrale, come le sue controparti negli Stati Uniti e nell’Unione europea, ha tagliato per due volte i tassi d’interesse, prima in giugno e poi, ancora, nel mese di luglio. Azione resa ancor più facile da una inflazione in calo, tornata al 2,2% in giugno dopo i timori del 2011.

Il governo cinese ha commesso un errore scegliendo di raggiungere ad ogni costo un obiettivo quantificabile, a scapito di una strategia a lungo termine che intensifichi, ad esempio, gli investimenti nel sistema di copertura sanitaria, misura questa che potrebbe aumentare strutturalmente il potere d’acquisto dei consumatori?

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