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Il fallimento di Mario Monti

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 Mario Monti è nell’occhio del ciclone. Dopo l’intervista allo Spiegel, che ha esposto il premier agli attacchi della Germania e dei parlamentaristi , e l’ultima  gaffe  sullo spread (“se il precedente governo fosse ancora in carica, ora lo spread italiano sarebbe a 1.200 o qualcosa di simile”), mentre il paese è inabissato in una profonda recessione, si potrebbe parlare di estrema stanchezza del presidente del consiglio. Otto mesi di lavori forzati, in effetti, stroncherebbero chiunque. Ma sarebbe davvero un azzardo parlare di fallimento così come dell’eventualità che sia giunta per l’Europa, e il progetto di costruzione europea, l’ora di prendersi una pausa di riflessione, approfittando del periodo di vacanza?Mario Monti ha a lungo goduto del suo status: quello di tecnocrate, stimato professore ed ex commissario europeo da una parte, e di successore di Berlusconi dall’altra: tutti avevano riposto speranze di salvezza per l’Italia, la terza economia della zona euro, e di un futuro migliore per l’Europa, attraversato negoziati che avrebbero rotto il monopolio dell’asse franco-tedesco nella gestione della crisi. Pochi i dubbi sulla possibilità che ptesse compiere quella sorta di miracolo, grazie alle sue abilità, competenze e capacità. A giugno Monti confermava la sua statura europea, “imponendo” alla Germania il principio dell’acquisto dei titoli di Stato italiani sul mercato secondario attraverso il meccanismo di stabilità europeo (MES) e il Fondo europeo di la stabilità finanziaria (EFSF).

Eppure questa è stata una vittoria effimera, di facciata. In Germania, i membri della maggioranza parlamentare di Angela Merkel hanno subito protestato contro questa decisione di principio, mentre Helsinki ha immediatamente posto il veto su tale misura. I paesi del nord continuano a mostrare la loro reticenza rispetto alle azioni volte a sostenere il mercato obbligazionario italiano.

Mario Monti ha cercato poi di mettere in gurdia contro il crescente sentimento anti-tedesco, diffuso in Italia e in europa, probabilmente con l’intento di convincere Berlino ad ammorbidire le proprie posizioni, proprio per evitare che tale ondata si trasformi in un devastante tsunami. L’obiettivo è però miseramente fallito.  Monti, durante la stessa intervista, ha accompagnato tali dichiarazioni ad un consiglio: ridurre  il ruolo dei parlamenti nazionali. Il suo appello? In sostanza,  lasciateci fare da soli, secondo le nostre startegie.

Il problema  è che proprio questo modello di gestione delle crisi da parte dei governi nazionali ha portato al peggioramento della crisi, apartire dal 2010, per cui si è passati da un problema circoscritto (Grecia) ad uno (recessione) globale. Anche se i fatti dimostrano che questa gestione da parte dei governi non è risucita, Mario Monti continua a chiedere che si vada avanti in questa direzione. Nonè forse meglio cambiare una formula perdente? Per salvare l’Europa, adesso è invece necessario coinvolgere il popolo (piuttosto che costringerlo a stringere sempre più la cinghia), sia attraverso i parlamenti nazionali che mediante una struttura politica federale, che sia realmente democratica.

Intanto l’austerità di Mario Monti  continua a strangolare l’economia della penisola. E il premier non è riuscito a ripristinare la fiducia del mercato:  proprio per questo il presidente dovrà probabilmente chiedere l’intervento dell’EFSF o della BCE. Il governo tecnico volge al tramonto?